Fig. 6: Interrogativi.
La dinamica del perdono è una realtà psico-spirituale da proporre all’interno di qualunque processo di crescita e di guarigione fisica e psichica. Le ferite della vita non hanno mai risparmiato nessuno; le colpe, il senso di vergogna o di inadeguatezza, i tradimenti, i lutti, le pene d’amore, sono solo alcuni degli infiniti scivoli dentro la sofferenza.
Le difficoltà di vivere in coppia o in famiglia sono aumentate in modo esponenziale, le ansie e le angosce sono diventate fluidamente il tessuto connettivo della rete virtuale, padroni e dipendenti più o meno colti o agiati hanno preso a giocare alla guerra delle emozioni, in cui non c’è posto per la pace e per la felicità.
Prima di pensare di impegnarsi sul cammino del perdono sarebbe opportuno epochizzare le false concezioni sui valori che la cultura in genere e la cristianità (alterazione del Cristianesimo) in particolare, hanno proposto e imposto sul perdono.
- Perdonare non significa cancellare la persona o l’episodio doloroso
Il perdono aiuta ad estinguere l’intensità del ricordo che comporta dolore, rinforza positivamente la memoria nei processi curativi agevolando la riflessione su come l'offesa subita abbia avuto origine, vita e persistenza. A poco a poco l’episodio negativo diventa sempre meno presente ed ossessivo, il ricordo è meno doloroso, la memoria viene risanata e l’individuo ritorna a vivere tenendo a mente la propria storia di vita e allo stesso tempo ritorna a fidarsi degli altri.
- Perdonare non è un diniego dell’offesa
Cancellare un duro colpo è pressoché impossibile. Molte persone (e tra loro molti terapeuti) reagiscono ai duri colpi, corazzandosi nei confronti della sofferenza e delle emozioni, che emergono. La difesa ad oltranza funge da substrato a tutte quelle condizioni psicologiche patologiche, nelle quali più o meno consapevolmente ci si annienta per non pensare alle possibili soluzioni.
- Perdonare non è un imperativo categorico valoriale
Ripetutamente nel nostro processo di crescita, in nome della religione o di presupposti valoriali dogmatici, ci siamo sentiti dire: “è giusto perdonare, si deve perdonare!”, senza alcuna attenzione al vissuto emotivo e alle implicazioni relazionali. L’atteggiamento volontarista prescindeva dalle logiche della comunicazione e dei comportamenti manifesti. Il genitore o l’educatore in genere traevano conferma dalla loro autorità e soddisfazione per avere insegnato una cosa così importante.
Le cose stanno veramente così? O forse era semplicemente un modo per arginare l’ansia e la rabbia verso gli inevitabili conflitti della vita?
L’orchestra dei valori non sarà pertanto diretta dalla volontà, ma dalla sintesi motivazionale, che la persona sarà riuscita a compiere nel corso della propria esistenza.
- Perdonare è un atto libero
Bisognerebbe interrogarsi sul significato della parola libertà e su come possa essere fraintesa in rapporto ai sentimenti e alle emozioni vissute.
Il fatto che la dinamica del perdono porti una riconciliazione con l’altro o con se stessi, non implica che tale riconciliazione sia vissuta nel quotidiano. Perdonare non è discolpare, perché questo significherebbe mortificazione e non liberazione. Perdonare non è espressione di un meccanismo di evitamento che ricade con tutto il peso del ricatto psicologico sull’altro. Perdonare è la libertà di apprendere dalla propria vulnerabilità emotiva, senza interpretarla o nasconderla.
Silvia giolitto (sabato, 09 gennaio 2016 23:49)
Mi sembra che vi sia un interessante punto in comune con la terapia E.M.D.R. per il trattamento dei ricordi traumatici: solo la rielaborazione diretta del vissuto può portare poco per volta ad una diminuzione dell'intensità emotiva e ad una riduzione del disagio, rabbia, sofferenza, fino ad arrivare a una nuova visione di sé, più forte, grazie alla trasformazione della rabbia in "compassione" e conseguente riconciliazione con le circostanze dolorose.